C’è chi lo ha scelto perché voleva «semplicemente fare qualcosa di utile». Chi invece perché in pensione «proprio non ci sapeva stare». Chi ha riempito così «un vuoto assurdo, con un impegno nobile». Essere coordinatori provinciali di Telethon non è un gioco da ragazzi.

Giuseppe Di Mattia, per esempio, ha 66 anni, con una moglie che gli sistema in garage scartoffie e gadget che servono alla causa, due figli grandi e due nipotini, è coordinatore a L’Aquila. […] «Era febbraio, c’era la neve. “Ma è davvero questo quello che voglio?”. In quel momento, l’occhio mi cade sul giornale, sull’annuncio di Telethon che cercava coordinatori. Mi sono detto: “Non sono mai stato un egoista, nella vita. Perché no?”. Seguono tre colloqui, come tanti che avevo fissato io, nella mia carriera: “È una cosa seria”, mi rassicuro. Da lì, ho iniziato a muovere la fantasia per le raccolte fondi: con una serata al mare insieme agli amici, tipo sagra, si arrivano a raccogliere 2.700 euro».

Antonio Persano, 38 anni, coordinatore provinciale di Teramo, con le malattie rare non aveva mai avuto niente a che fare. Fino al 2010, quando «da imprenditore nel campo della sanità, ho iniziato a pensare che i miei contatti, di solito utili per il business, potessero esserlo anche per quei bambini che vedevo nella maratona in Tv». E così è stato: «Piano piano, intorno, iniziano a farsi sentire famiglie in difficoltà di cui ignoravo l’esistenza. Organizziamo giornate formative nelle scuole, così da persuadere i ragazzi che il compagno di banco senza capelli non ha una malattia trasmissibile». Il bilancio è dei migliori: «Un conto è vivere, l’altro è esistere. Io, da quando sto dentro con le mani e la testa a questa dimensione benefica, esisto».

Alessandro D’Addio, 70 anni, titolare di una società di ingegneria che lavora con l’Algeria, è da sette coordinatore provinciale di Pesaro Urbino. Va particolarmente fiero (oltre che delle sue due figlie medico e di una moglie «adorabile, anche lei volontaria») del suo accordo con la catena di ristoranti self service Pesce Azzurro, «che ogni anno devolve a Telethon un centesimo a pasto, e che nel 2012 ha raggiunto la cifra record di 4 mila euro». E di un ricordo. Quello di Antimo, con cui fece amicizia a Terni, tre anni fa: «Un bambino affetto da mucopolisaccaridosi di tipo due, che per fare le trasfusioni se ne partiva il lunedì con la mamma da Caserta a Napoli […]. Tifa Juve, il ragazzo, e quella sera ascoltava la partita alla radiolina, e non voleva più andare a dormire: voleva rimanere con me. Io allora gli ho promesso che, se fosse tornato a casa senza piangere, gli avrei regalato la maglietta di Alessandro Del Piero. E così ho fatto, nonostante sia interista».

Nella storia di Clara Di Fabrizio, 50 anni, coordinatore provinciale di Chieti subentrata al marito nel 2011, c’è un inizio più doloroso: «Ci siamo avvicinati a Telethon nel 2003, dopo avere perso il nostro unico figlio, di leucemia, a 14 anni. Adesso è uno dei pochi scopi della mia vita: parlo con gli sponsor, allestisco banchetti, racconto a chi ancora pensa che ci occupiamo di bambini dell’Africa che siamo altro». […]

Vincenzo De Pace, 38 anni, un lavoro in uno studio legale specializzato in amministrazione di immobili, in Telethon, da coordinatore provinciale di Pescara, è entrato con una pacca sulle spalle di un amico che già faceva parte della squadra («E dai, aiutaci un po’ anche tu»). Ai banchetti si sentirebbe perso senza la sua fidanzata («Mi aiuta negli allestimenti»). È «da sempre un buono», ma da quando riesce a strappare un po’ di tempo ai condomini per cercare sul suo territorio storie e fondi, si sente diverso: «Con Telethon valgo di più».

Estratto dell’articolo di Lavinia Farnese pubblicato sul N.4 del Telethon Notizie 2012. Per sfogliare online l’interno numero clicca qui.