C’è un episodio, tra i più famosi della letteratura antica, che è una perfetta metafora per raccontare quella che oggi è una delle frontiere della medicina moderna: la terapia genica.

Dopo anni di assedio alla città di Troia, i Greci finsero di ritirarsi lasciando sulla spiaggia un cavallo di legno, per placare gli dei e propiziare il viaggio di ritorno in patria. Secondo il piano ideato da Ulisse, il cavallo non era che un nascondiglio per i guerrieri greci: i Troiani trascinarono il cavallo all’interno delle mura e, come ci racconta Virgilio, durante la notte i greci uscirono dal cavallo e aprirono le porte della città ai propri compagni. Troia cadde.

La terapia genica è una strategia di cura che usa un virus proprio come un cavallo di Troia, per trasferire all’interno delle cellule del nostro corpo materiale genetico utile. Ci sono malattie, come quelle di origine genetica, dove un errore in un singolo gene può avere conseguenze devastanti: grazie a questa tecnica, è possibile sfruttare la naturale capacità dei virus di entrare nelle cellule per trasferire una versione corretta e funzionante di un gene responsabile, quando difettoso, di gravi malattie ereditarie.

L’idea di trasformare i virus da agenti patogeni a strumenti di cura non è nuova: è dagli anni Settanta che la comunità scientifica si interroga su come disegnare questi speciali cavalli di Troia. Ma, come spesso accade nella scienza, può passare molto tempo prima che una buona idea trovi la sua applicazione pratica.

Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica, ha cominciato a studiare questa idea all’inizio degli anni Novanta, quando la ricerca in questo campo aveva raggiunto una fase di stallo, perché non si era ancora riusciti ancora a identificare un vettore virale davvero efficiente e sicuro.

Nel 1994 Naldini si trovava in California al centro di ricerca Salk Institute for Biological Studies di La Jolla. Molti ricercatori dell’istituto californiano erano impegnati a studiare il virus Hiv, responsabile delll’Aids, malattia che aveva ormai già assunto proporzioni epidemiche in tutto il mondo. Un virus dal comportamento misterioso, diverso da quello di tutti gli altri noti fino a quel momento. Naldini si chiese se quel virus temuto non potesse essere guardato da un altro punto di vista: perché non provare a sfruttarlo per fini “buoni”? Perché non sfruttare la sua eccezionale capacità di entrare nelle cellule trasformandolo in un trasportatore di materiale genetico con una finalità terapeutica?

La prima dimostrazione che, dopo un’opportuna manipolazione in laboratorio, Hiv potesse trasformarsi in un vettore efficiente per la terapia genica, meritò nel 1996 le pagine di Science e fu accolta positivamente dalla comunità scientifica. Al contempo però c’era anche grande scetticismo sulla possibilità di utilizzare nell’uomo vettori per la terapia genica derivati dall’Hiv. Faceva paura perché, allora come oggi, non esiste vaccino né farmaco che possa eliminare questo virus dal nostro organismo una volta entrato: possiamo controllarlo, ma non cancellarlo del tutto.

Il lavoro di ricerca di Naldini e del suo gruppo continuava a confermare come i vettori derivati da Hiv fossero efficaci e sicuri: del virus originale, manipolato in laboratorio, non restava che il 10 per cento, quel tanto che bastava per renderlo ancora capace di entrare nelle cellule e rilasciarvi il proprio contenuto, ma senza alcun effetto patologico.

Fondazione Telethon ha creduto a questa idea e ha dato vita, insieme all’Ospedale San Raffaele, ad un Istituto dedicato proprio alla terapia genica, l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget). Nel 2013 all’SR-Tiget è stato dimostrato per la prima volta al mondo che la terapia genica con vettori derivati da Hiv può cambiare la vita di bambini affetti da gravi malattie genetiche del sistema nervoso e immunitario: oggi quasi 40 bambini affetti da leucodistrofia metacromatica e dalla sindrome di Wiskott-Aldrich hanno ricevuto questa terapia genica senza che si siano mai verificati effetti avversi e soprattutto con risultati molto promettenti dal punto di vista terapeutico. E l’avventura è solo all’inizio.