A undici anni, Pepe è un ragazzino brillante: a scuola non ha una materia preferita, perché teme che se si dimostra troppo bravo in qualcosa gli insegnanti potrebbero spingerlo in una sola direzione. Al contrario ama spaziare tra cose diverse, dai videogiochi alla fantascienza, su cui ha scritto un racconto molto originale.

Ma all’agilità della sua mente, non ne corrisponde altrettanta nel corpo: fin dalla nascita soffre infatti di una rarissima malattia genetica, la mucopolisaccaridosi 6, dovuta al difetto in un enzima responsabile dello smaltimento di alcuni zuccheri. Pepe ha problemi alla vista e si muove a fatica: una volta andava in bicicletta, oggi è in carrozzina e riesce ad alzarsi solo per qualche minuto. Anche scrivere gli costa fatica a causa del tunnel carpale, per cui a scuola usa il computer per scrivere.

Da quando è nato ha subito dieci interventi chirurgici, il più delicato alla colonna.

Dal 2006 per i bambini come lui esiste una terapia, che consiste nella somministrazione attraverso il sangue dell’enzima mancante, prodotto grazie a tecniche di ingegneria genetica.

Decisamente un passo avanti, ma non basta: non solo l’enzima non riesce a raggiungere alcuni dei tessuti colpiti, ma le infusioni vanno fatte una volta alla settimana e portano via mezza giornata. «È per questo che ci siamo chiesti se la terapia genica, che in quegli anni aveva dato i primi risultati positivi su una forma di cecità ereditaria, potesse essere una valida alternativa» spiega Alberto Auricchio, ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli che dal 2006 lavora sulla malattia di Pepe.

«Con il supporto di Telethon abbiamo innanzitutto individuato il mezzo di trasporto migliore per il gene corretto, un particolare virus reso innocuo ma ancora capace di inserire il proprio Dna nelle cellule bersaglio, poi ne abbiamo testato efficacia e sicurezza nel modello animale della malattia. Con risultati positivi, tanto che contiamo di avviare entro pochi anni lo studio clinico sui pazienti, in collaborazione con il professor Generoso Andria dell’Università Federico II di Napoli».

Primo obiettivo è dimostrare che la terapia genica sia efficace quanto quella enzimatica: «se così fosse – conclude Auricchio – miglioreremmo decisamente la qualità vita dei pazienti, che non sarebbero più costretti ad andare in ospedale ogni settimana per ricevere la terapia, ma solo una tantum. La speranza, naturalmente, è che sia anche più efficace: questo per le persone come Pepe significherebbe migliori capacità di movimento, meno dolori articolari e riduzione dei problemi cardiaci e respiratori, che possono mettere a rischio la sopravvivenza».