Ci sono neonati che non arrivano a diventare grandi. E bambini che ce la fanno, ma con difficoltà che chi non li ha in casa difficilmente immagina. I primi se ne vanno a pochi mesi, pure a due o tre dalla diagnosi mortale.

Gli altri scoprono di essere malati più in là, e crescono: su una sedia a rotelle, spesso attaccati a ventilatori meccanici, a sondini gastrici, a stretto contatto con la macchina della tosse, qualcuno con il buco in gola della tracheotomia.

Le mamme e i papà dei piccoli affetti da Sma (atrofia muscolare spinale) di tipo 1 e 2, quella malattia genetica che colpisce in forma più o meno grave le cellule da cui partono i nervi diretti ai muscoli, non si sentono certo fortunati. Ma c’è chi si prende cura di loro.

È il Sapre-Uompia, Settore di abilitazione precoce dei genitori, all’interno della Fondazione Irccs Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Lo coordina Chiara Mastella, una che passa attraverso le paure e il dolore, e – se un rimedio non l’ha – conosce (e trasmette) ai genitori piccoli segreti di saper vivere quotidiano con un figlio malato di atrofia muscolare spinale.

Lo fa con un numero verde (800214662), due cellulari che non spegne mai e uno staff “piccolo” con cui, in un ambiente dove hanno “ricostruito gli spazi domestici”, dà a mamme e papà gli strumenti fisici e psichici per sentirsi ed essere genitori capaci. «Gli insegniamo come confrontarsi con una genitorialità diversa da quella attesa. Come mettere i figli a dormire, vestirli, dargli da mangiare. Nei casi di Sma1, come capire i segnali che mandano, rianimarli in casa dopo una crisi respiratoria. Nella Sma2, come aiutarli ad accettare l’uso di tutori e corsetti di plastica. Come stare con loro nel viaggio – segnato, breve e cattivo – meglio possibile. Come non farsi inquietare da internet, che le cosi orribili che ci si trovano su si prendono una a una e si sfogliano insieme. Come elaborare il lutto trasformando la rabbia in potenza. Come, insomma, provare a invertire il segno: la malattia non sovrasta, e se non la guarisci, almeno la gestisci».

«C’è chi accompagna e chi decide di provare a combattere la malattia. C’è anche quella che ti domanda quali siano “Le parole per dirlo”, alla propria bambina: “Amore, ha la Sma e nei prati non correrai mai”».

Chiara Mastella, coordinatrice Sapre-Uompia

A domandare invece a Chiara quale sia il prezzo personale che paga per un mestiere così faticoso, lei ammette: «Ho seguito più di 300 bimbi. Grazie (anche) a sette anni di lavoro psicoanalitico personale. Ma i genitori che in “New Life” dopo avere tanto pianto vengono per ricominciare a vivere dopo la morte del figlio, mi danno ragione di essere soddisfatta».

Lo è stata pure lo scorso luglio, dopo la quarta edizione dello stage “Mio figlio ha una quattro ruote”, a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine.

«Abbiamo fatto arrivare tre camion pieni di quaranta carrozzine. Tutti insieme – i genitori e i fratelli sani coi i piccoli affetti da Sma1 e Sma2 dai 18 mesi ai sei anni – giocato per giorni a rincorrerci, tra un incontro e l’altro sulla malattia, così da comprenderne davvero, provandolo sulla propria pelle, che cosa significhi la quotidianità su una sedia a rotelle».

Si è felici, a fare un po’ più felici gli altri?

«La formazione è un’opportunità per provare a ricercare la felicità. Non può essere imposta, ma deve essere offerta. Se un genitore impara a non avere paura, il bambino prende questa forza. E non ha paura».