Pierpaolo ha un dono: farti ridere e piangere fino a confondere perfettamente una cosa con l’altra. Pierpaolo è uno che decide di raccontare la sua vita con la fibrosi cistica sotto forma di spettacolo, lo scrive di getto, in una settimana e trasforma la sua storia in un monologo, un mix dolcissimo tra una lezione di medicina con tanto di slide e un diario personale, fatto di ricordi, aneddoti, di mamma, moglie, fratelli, casa. Il tutto con una dose straordinaria di umorismo.

Così quando lo ascolti ridi, poi piangi un po’, poi ridi tantissimo, poi resti muto ad ascoltarlo, poi lo ringrazi perché ti sta insegnando delle cose che non sapevi, poi riridi, lo applaudi e alla fine vorresti quasi che ogni malattia fosse lui a raccontartela, come ha fatto con la sua. Che poi è una cosa orribile da dire, («no grazie, mi basta già la mia»), ma quando gliela dici lui sorride. Del resto lui quel suo spettacolo sapete come ha deciso di chiamarlo? Così: “Senza fiato- Una risata vi seppellirà. A me la fibrosi cistica (forse)”.

Se non lo hai visto ti chiedi perché “senza fiato”. Te lo spiega lui. «Un malato di fibrosi cistica non lo riconosci, o almeno è difficile farlo. Hai solo davanti una persona decisamente magra che tossisce molto. Perché per via di un difetto genetico nei polmoni (non solo, ma per lo più nei polmoni) si forma muco di continuo e questo a lungo andare li danneggia, li fa diventare ambiente ideale per batteri e per continue infezioni» che infatti Pierpaolo deve combattere. «Provate a respirare un giorno intero solo attraverso una piccolissima cannuccia e avrete un’idea di cosa significa vivere con la fibrosi cistica». Così dal punto di vista medico. È più bella quell’altra definizione però che lui ha della malattia. «La fibrosi cistica è una montagna russa. Quando sei in alto ci sono panorami bellissimi, aria in faccia, adrenalina. Quando scendi giù senti lo stomaco alla gola».

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Insomma, per un motivo o per l’altro quel titolo, senza fiato, alla fine è perfetto. Per dirla alla Calvino, Pierpaolo possiede quella «speciale modulazione lirica ed esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e dissolverlo in ironia». Ironia (che non a caso fa rima con poesia) è la parola più importante, dopo fibrosi cistica, per raccontarlo. Quando cerchi di decifrare la sua lotta lui ti chiarisce subito le idee: «Io non la vedo come un nemico, io la malattia ce l’ho sempre avuta. Ci sono nato, di fatto non mi ci vedo senza. L’ho sempre cavalcata, stiamo insieme da sempre, i miei sogni da ragazzo erano tarati su di lei».

Ragazzo lo è ancora eh, perché ha 35 anni, ma convive da sempre con l’ossessione di quell’età media che le statistiche della medicina attribuiscono ai malati di fibrosi cistica. 15 anni negli anni Novanta, 25 nei Duemila, oltre i 40 oggi. Sempre più speranza. Grazie alla ricerca, alla scienza, a una lista d’attesa per il trapianto di polmoni in cui il suo nome è entrato da qualche tempo a questa parte. A proposito, «Donare è importantissimo. Se non vi va di fare cose più complicate, scrivete un foglietto con nome e cognome e la vostra volontà di donare i vostri organi e mettetevelo nel portafogli».

La libertà comincia dall’ironia, diceva Victor Hugo. Lui quella libertà ce l’ha da quando scopre il piacere fisico della battuta, che piazza sempre lì, tra un colpo di tosse e un altro. Del resto se sai riderne, sei più forte. E lui questo fa. Pierpaolo Baingiu nasce in Sardegna, è il secondo dei tre figli di mamma Anna, ex maestra d’asilo, e papà Pasqualino, carabiniere in pensione. Prima di lui c’è Roberto, sano, mentre dopo c’è Daniela, anche lei con la fibrosi cistica, ma più riservata, introversa. «Io no, io nello spettacolo mi metto a nudo al 100 per cento. Le giornate No ci sono, eccome. Ma diciamo che quelle Sì sono di più. Il pessimismo non mi appartiene». Il merito è di una persona precisa: «Papà, perché mi diceva e mi dice ancora, devi sentirti fortunato, ci sono nuove cure oggi, la scienza per te fa passi avanti che per altre malattie non ci sono». Quando gli ho fatto la domanda scema se per lui il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno lui mi ha risposto no, «ne’ vuoto, ne’ pieno, il bicchiere è mio!».

Poi c’è Silvia, la compagna, l’anima gemella, moglie dal 2016. Silvia è tutta in questa frase di Pierpaolo: «Io non ho deciso di avere a che fare con la fibrosi cistica. Lei sì». Si parla di futuro, di speranza, chissà anche di un bambino, è lì che dice un’altra cosa molto bella: «Io mi affido a mia moglie». Pierpaolo è così. Ti butta lì una dichiarazione d’amore che reclama i violini e poi ti riporta a terra con le storie delle sue occlusioni intestinali. Ti spiega, fa esempi, si arrabbia, poi trova sempre il modo per organizzare il discorso sotto forma di battuta. «Un giorno in tv ho visto un ragazzo di 18 anni che diceva di avere la fibrosi cistica e diceva di aver scalato il Kilimangiaro allenandosi a casa. Era stupefacente! Cavolo, anche io avevo la fibrosi cistica e avevo anche una casa. Non doveva essere così difficile». 

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