di Renata

2° GIORNO EL CENTRO – CALEXICO – YUMA – SAN LUIS.  IL CONFINE  Questo viaggio, con voi che mi accompagnate grazie a Fondazione Telethon, è per me un modo per superare ancora una volta le barriere, i “confini” che la mia malattia genetica rara comporta. Barriere e confini che però non mi hanno mai condizionato.

Nel mio viaggio oggi è proprio il giorno del confine, quello vero, quello dove sorge una rete metallica alta circa quattro metri, una rete a maglie così strette che fai fatica a vedere di là, quello che divide povertà da ricchezza, i cosiddetti cattivi dai cosiddetti buoni. Un confine di cui si parla tanto e che qualcuno vorrebbe più impenetrabile.

A breve quella rete metallica diventerà un muro vero. E così Francisco, che ci ha raccontato la sua storia di bambino messicano portato via dalla famiglia e fatto crescere nell’anonimato negli Stati Uniti per poi essere espulso a vent’anni, non potrà più condividere la sua tristezza con chi sta al di qua della rete. Neppure Miguel potrà dare più appuntamento alla sua amica Beatriz. Un appuntamento senza orario e senza contatto umano ma con chissà quante cose da raccontarsi.

Questa rete a maglie strettissime è penetrabile con gli sguardi e le parole. Troppo. Il muro toglierà questa possibilità, ma lascerà ancora spazio alla fantasia, ai sogni ed ai ricordi, perché nulla neppure un muro potrà fermarli, come la mia malattia non fermerà me.

3° GIORNO YUMA – AJO.  IL DESERTO  Essere negli Stati Uniti e non visitare uno dei famosi parchi sarebbe stato proprio un peccato. L’Organ Pipe Cactus National Monument si trova all’interno del deserto di Sonora.

Il mio deserto preferito è quello di sabbia. La prima volta che sono stata nel Sahara, in Libia, è stato un colpo di fulmine. Il silenzio che riempie le orecchie, distese di sabbia riempiono gli occhi e notti stellate che riempiono il cuore. Un sogno.

Per tanti migranti i deserti, con la loro durezza e difficoltà, rappresentano un percorso per raggiungere il sogno di una vita migliore. Così è in Africa e così è anche qui. Infatti, questo è proprio uno dei percorsi più battuti dai migranti che cercano vie alternative per riuscire a superare i vari controlli senza essere catturati ed espulsi. E, infatti, nonostante sia un luogo turistico, non mancano elicotteri che sorvolano l’area e macchine di Border Patrol che pattugliano la zona.

Noi siamo fortunati, un luogo così lo possiamo apprezzare per la bellezza. Il parco è una distesa arida dove trovano il loro ecosistema naturale cactus di varie specie, il più tipico è quello a canne d’organo che dà il nome al parco.

Muoversi su questo tipo di terreno è stato decisamente più agevole rispetto alla sabbia. Quando viaggi in un deserto di sabbia, te la trovi ovunque e credo che in qualche modo rimanga lì e ti accompagni per sempre. Oggi non ho avuto la stessa sensazione ma, la vastità del paesaggio, i suoi colori, l’assenza assoluta di persone e una canzone arrivata al momento giusto (“A perfect day” di Lou Reed), ci ha fatto venire voglia di ballare.

Questo ricordo sarà come la sabbia e rimarrà sempre con me.

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Chi è Renata?

Renata è una donna forte, ironica, amante della fotografia e dei viaggi. Scopre il nome della propria malattia, la distrofia muscolare dei cingoli, solo da adulta. I primi sintomi arrivano già a 18 anni quando perde peso e si sottopone a vari esami che mostrano uno quadro clinico complicato. Ma non perde la sua autonomia nonostante la disabilità. Solo a 42 anni riceve una diagnosi ufficiale, a cui seguirà una brutta caduta che compromette la sua mobilità. Da quel momento in poi inizia ad usare la carrozzina, anche se a casa cammina sempre. Data la sua passione per la fotografia, comincia a frequentare un corso in cui incontra il suo attuale compagno fotoreporter con cui decide di cominciare a girare il mondo. Ogni viaggio è più complicato, ma richiede solo molta organizzazione. Perché Renata vuole superare le barriere e andare oltre i confini.