Di Renata

Sono partita insieme a Max, il mio compagno. Percorreremo il confine con il Messico fino ad El Paso o forse oltre. Questa è la seconda tappa di un reportage fotografico, sul quale stiamo lavorando dall’anno scorso ed attraverso il quale stiamo affrontando alcuni dei temi chiave della campagna elettorale di Trump. Vi racconto tutto questo perché grazie a Fondazione Telethon mi accompagnerete e io cercherò di condividere quello che vedranno i miei occhi, quello che sentirà il mio cuore o semplicemente quello che mi passerà per la testa.

I viaggi hanno sempre fatto parte della mia vita e, ora che ci penso, è stato proprio un viaggio negli Stati Uniti nel lontano 1989 che ha fatto scattare in me questa voglia di esplorare e di conoscere altri mondi e culture. Da quel momento, tutte le mie vacanze le ho trascorse in viaggio, Africa, Asia, Australia, Sud America e Stati Uniti. Certo non potevano essere quattro ruote a fermarmi.

Quello che non ho mai fatto è condividere il mio viaggio al di fuori della mia cerchia di amici, un po’ l’ho fatto con le foto, questo sì, ma questa volta sarà diverso. Telethon mi ha dato questa opportunità, che ritengo sia importante, per far capire che tecnologia e ausili oggi possono aiutare a sostituire gambe e braccia e che chiunque abbia dentro questa passione per i viaggi deve continuare a coltivarla perché per me la vera malattia sarebbe lasciare che questo fuoco che ho dentro si spenga.

1° GIORNO San Diego – El Centro – Slab City

LIBERTÀ  La giornata è stata all’insegna della parola “Libertà”. Dopo essere arrivati a El Centro ed aver lasciato i bagagli al Motel, ci siamo diretti verso il Terrace Park Cemetery. Questo cimitero ha una zona riservata ai migranti morti che vengono seppelliti con una semplice croce senza nome.

All’arrivo abbiamo scoperto che a loro non è concessa la Libertà neppure da morti. Infatti, nonostante il cimitero fosse aperto e visitabile, la zona a loro riservata era recintata e chiusa da enormi lucchetti. Quando abbiamo chiamato per sapere se era possibile che qualcuno ci venisse ad aprire, ci è stato detto che avremmo dovuto prendere un appuntamento. Incredibile!

Ci siamo rimessi in macchina e siamo partiti alla volta di Slab City. La chiamano “L’ultimo posto libero d’America”. È una sorta di accampamento abitato da nomadi, hippie e persone che vogliono fuggire dalla civiltà. Non c’è corrente e acqua potabile. Le persone si fermano per alcuni giorni, settimane, mesi o addirittura anni. Qui abbiamo incontrato persone molto interessanti.

Il primo abitante è Ron. È il guardiano di Salvation Mountain, una piccola montagna artificiale ricoperta di pittura acrilica e addobbata con simboli e versi della Bibbia. La montagna è stata creata da Leonard Knight, in onore di Dio. Leonard ha vissuto ai piedi dell’opera fino alla sua morte. Ora c’è Ron. È lui che si occupa di mantenere vivi i colori e che si assicura che nessuno danneggi la montagna.

Vicino alla baracca di Ron, si è accampato Greg, ha 56 anni e ci ha raccontato di essere qui da qualche mese. È la seconda volta che torna a Slab City. Ci ha detto: «Sono disabile mi volevano far vivere in una scatola ma io voglio girare il mondo». E così da qualche anno, viaggia da uno Stato all’altro con la sua cagnolina.

Una fuga dagli schemi, dalla tecnologia, dalla vita che ci vuole tutti uguali. Qui si respira un’aria di Libertà di andare, venire, lavorare o dormire tutto il giorno. Nessuno giudica nessuno. Libertà come quella che ho provato io nel muovermi autonomamente usando l’handbike a motore di Batec. “Great bike!” mi urlavano quando mi vedevano passare…

La parola Libertà e questa giornata la dedico a Mauro Donato. Mauro è un amico che mentre svolgeva il suo lavoro di fotogiornalista in Serbia è stato incarcerato e privato della sua Libertà.

La tappa precedente  Inizia il nostro viaggio con Renata, oltre i confini della sua malattia genetica

La tappa successiva   In viaggio con Renata: superare barriere fisiche e mentali

Chi è Renata?

Renata è una donna forte, ironica, amante della fotografia e dei viaggi. Scopre il nome della propria malattia, la distrofia muscolare dei cingoli, solo da adulta. I primi sintomi arrivano già a 18 anni quando perde peso e si sottopone a vari esami che mostrano uno quadro clinico complicato. Ma non perde la sua autonomia nonostante la disabilità. Solo a 42 anni riceve una diagnosi ufficiale, a cui seguirà una brutta caduta che compromette la sua mobilità. Da quel momento in poi inizia ad usare la carrozzina, anche se a casa cammina sempre. Data la sua passione per la fotografia, comincia a frequentare un corso in cui incontra il suo attuale compagno fotoreporter con cui decide di cominciare a girare il mondo. Ogni viaggio è più complicato, ma richiede solo molta organizzazione. Perché Renata vuole superare le barriere e andare oltre i confini.