«Da bambino vorresti correre veloce, da adolescente inizi a sentire il profumo della vita, ma quando vivi una disabilità e ti rendi conto che non sei competitivo, fai fatica. Soffri. Innegabilmente. Però ad un certo punto scatta un desiderio di metterti in gioco, un bisogno di affrontare la malattia, di combattere e trovare proprio lì delle opportunità». A parlare è Alberto Fontana, Presidente dei Centri Clinici NeMO, che quest’anno festeggiano i primi dieci anni. Milanese, figlio degli anni settanta, Fontana è affetto da atrofia muscolare spinale (Sma) e molto giovane inizia la sua attività di volontariato, come la definisce lui «da portatore di interesse». A 14 anni entra a far parte della Uildm con la necessità di comprendere «cosa sarei diventato. La prima integrazione possibile è con chi è come te. Lavorare sulla consapevolezza mi ha portato a cercare vie per migliorare la mia vita e quella dei miei amici. Il mio impegno nel volontariato è sempre stato ed è tutt’oggi orientato alla ricerca di attenzione che ha a che fare con la partecipazione: i malati neuromuscolari possono essere una risorsa per la società».

È da una sua intuizione e con questo spirito che sono nati i Centri Clinici NeMO (NEuroMuscolar Omnicentre), strutture ad alta specializzazione pensate e volute per rispondere in modo specifico alle necessità delle persone affette da malattie neuromuscolari come la Sla (sclerosi laterale amiotrofica), la Sma (atrofia muscolare spinale) e le distrofie muscolari. Chi ne soffre ha bisogno di un costante supporto di specialisti (cardiologi, neurologi, fisiatri, pneumologi, fisioterapisti, nutrizionisti, psicologi e spesso questo elenco non li contempla tutti). I Centri NeMO sono stati concepiti innanzitutto per dare una risposta concreta a questo bisogno primario: il malato trova qui, grazie ad un approccio multidisciplinare, tutti i professionisti che lavorano in équipe al suo caso. Che non è soltanto un caso, ma la storia di una persona e della sua famiglia. Prima di NeMO i malati si vedevano costretti a peregrinare verso i medici in strutture e talvolta regioni differenti.

«Non si può pensare di curare il malato», afferma Fontana, «se non si coinvolge in questo percorso anche chi ne ha la responsabilità quotidiana: supportare la famiglia significa attivare risorse fondamentali nel malato stesso. Il tutto a partire da un concetto di cura ampio: operiamo nella ricerca ma con un’attenzione all’animo della persona, al pieno riconoscimento della sua individualità. Vogliamo che il paziente grazie a interventi concreti possa vivere un effettivo miglioramento della qualità della sua vita e non sentirsi in una condizione di disabilità. Ad una persona che ha subito una tracheotomia, per esempio, operiamo per il ripristino delle corde vocali, il che significa ridargli una voce. Nel caso dei malati di Sla, che molto spesso possono parlare soltanto attraverso un sintetizzatore vocale, stiamo costruendo un archivio di voci. NeMO vuole essere un esercizio di resilienza, non solo il luogo in cui si contrasta la malattia, ma anche il luogo in cui i pazienti si sentano risorse, persone e cittadini di Serie A».

Era il 2005 quando Fontana come Presidente di Uildm, parlò per la prima volta a Francesca Pasinelli, allora Direttore Scientifico di Fondazione Telethon, oggi Direttore Generale, della necessità di creare un luogo capace di prendere in carico il malato nella cura, a fianco e dopo la ricerca. «La Fondazione Telethon tutta, a partire dalla Presidente, Susanna Agnelli, ebbero la sensibilità di coglierne esigenza e potenziale. Grazie a Telethon, al suo impegno e di competenze e economico abbiamo costruito una rete di centri che in modo omogeneo prende in carico le patologie neuromuscolari». Il 28 gennaio si sono celebrati i primi 10 anni dall’apertura del primo centro di Milano (Ospedale Niguarda). A questo sono seguiti Messina, Arenzano e Roma.

«Nei Centri NeMO si combatte tutti i giorni, la realtà è complessa e talvolta si incontra anche la morte. E si sta male. Ma quella morte deve essere un nuovo punto di ripartenza. Per chi c’è, per spingere nella ricerca e nella cura, per fare sempre di più e meglio», dice Fontana. Che poi continua: «Ma accadono anche cose meravigliose: dieci bambini sono stati partoriti da mamme affette da malattie neuromuscolari. Accade anche che bambini con diagnosi di Sma, completamente immobilizzati, grazie all’applicazione di un farmaco, inizino a muoversi. Ho viva l’immagine del primo di loro: lui che dà il cinque all’infermiera. Una gioia indescrivibile. Orgoglio e riconoscenza più vera per ciò che si fa. E che non smetteremo mai di fare».