Questa è la storia di sette sportivi. Sette giocatori di rugby. Tre sono colonne della Nazionale italiana, gli altri quattro trattano la palla ovale con l’impegno dei professionisti e l’entusiasmo dei bambini.

Riccardo, Eduardo, Salvatore, Martino sono atleti della Capitolina Rugby (all’interno del progetto Una meta per crescere); hanno età diverse, che vanno dai 7 ai 19 anni e, oltre alla passione per le mischie e i placcaggi, hanno in comune la trisomia di un cromosoma, il 21. I quattro ragazzi hanno la sindrome di Down. Grazie a Telethon, incuranti della tremenda mattina di pioggia, le loro storie si sono incrociate con quelle dei “colleghi” azzurri: Sergio Parisse, Martin Castrogiovanni e Giovanbattista Venditti.

Sul campo 3 del centro olimpico Giulio Onesti, i sette “guerrieri” hanno dato vita ad un allenamento tutto speciale. Sotto l’occhio vigile dei genitori e dietro le telecamere dirette da Mauro Mancini, il regista che produce il cortometraggio che proiettato durante la prossima maratona.

Chi ama il rugby non ha tempo e voglia per troppi convenevoli e così, dopo i saluti, Castrogiovanni, per tutti, semplicemente, ha chiesto: «Beh? Dov’è la palla?». Martino è corso a recuperarla e tutti sono volati in mezzo al campo a provare calci, passaggi e mete. Per più di un’ora, un gruppo che definire eterogeneo sarebbe un divertente eufemismo, si è rotolato nel fango, facendo volare in aria e sbattendo in terra la palla ovale.

I tre colossi azzurri hanno fatto di tutto: con Castro a guidare le danze e Venditti a prodigarsi con consigli e suggerimenti, capitan Parisse spiegava le corse in meta, incurante della divisa pulita e della doccia appena fatta.

«Tenete ben stretto il pallone e fate come me!». E via come un treno in mezzo ai pali, con tanto di tuffo finale. Allora, uno dopo l’altro Martino, Salvatore, Eduardo e Riccardo sono partiti per realizzare le loro segnature. Diritti in mezzo al fango, ma diritti in mezzo ai pali.

E quando la stanchezza ha cominciato a farsi sentire, gli azzurri hanno regalato un pallone ciascuno ai ragazzi, promettendo loro le firme di tutta la rosa. «Dopo la doccia, quando siamo a tavola, tutti insieme». Perché, che si sia grandi o piccini, il terzo tempo nel rugby più che un rito è un obbligo.