Far “sniffare” l’NGF (Nerve Growth Factor), una proteina tutta italiana, a topolini malati con sintomi che ricordano l’Alzheimer non solo migliora la salute delle cellule nervose, ma li aiuta a recuperare la memoria, a ricordare un oggetto a loro familiare e a compensare i danni provocati dalla malattia. Il risultato è stato ottenuto da Antonino Cattaneo, ricercatore Telethon presso la SISSA, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e allievo del Nobel Rita Levi Montalcini, che scoprì la molecola nel 1952.

Il progettoTelethon, il cui titolare è Nicoletta Berardi dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, riguarda lo sviluppo di strategie terapeutiche non invasive volte a migliorare i deficit comportamentali nel modello animale dell’Alzheimer, una malattia che nell’uomo provoca demenza e declino progressivo delle funzioni intellettive e della memoria, con alterazioni della personalità e del comportamento. La maggioranza dei casi (circa il 95%) è rappresentata da forme cosiddette sporadiche, che colpiscono un solo membro di una famiglia e non presentano quindi familiarità, mentre il restante 5% dei casi è rappresentato da forme familiari, a carico di più persone nella stessa famiglia, precoci o tardive a seconda che la malattia si manifesti prima o dopo i 65 anni d’età.

Tutto inizia da un modello animale che presenta sintomi e disturbi simili a quelli del morbo di Alzheimer: un topolino in cui un anticorpo contro il fattore di crescita delle cellule nervose, l’NGF, ne blocca l’azione nel cervello, determinando degenerazione e morte delle cellule cerebrali analoghe a quelle osservate nel morbo di Alzheimer. Spiega Cattaneo: “Neutralizzando l’NGF, nel cervello dei roditori si manifestano con l’età lesioni tipiche dei pazienti con Alzheimer e compaiono “grovigli” e placche che determinano la distruzione delle cellule nervose e delle connessioni che le mettono in contatto”. In questo modello di malattia i danni progressivi determinano anche deficit comportamentali, tra cui la capacità di riconoscere e ricordare oggetti e luoghi noti.

Già due anni fa il gruppo di Cattaneo aveva somministrato NGF per via intranasale a questi stessi topolini, alla comparsa dei primi segni di neurodegenerazione, con il risultato che le cellule nervose stavano meglio. Commenta Nicoletta Berardi: “Questo lavoro mostra ora che a regredire non è solo la degenerazione delle cellule nervose, ma anche alcuni sintomi di deficit comportamentali e cognitivi”.

Non è la prima volta che si sfrutta la capacità di un paziente di annusare un farmaco, ma questi risultati prospettano la possibilità che un farmaco basato su NGF, una proteina che difficilmente raggiungerebbe il cervello, possa essere veicolato direttamente al cervello in modo non invasivo.

Per veicolare l’NGF direttamente al cervello e sfruttarne le potenzialità terapeutiche per la malattia di Alzheimer – continua Cattaneo – è in corso di sperimentazione una terapia genica ex vivo, in cui cellule prelevate dal paziente vengono modificate geneticamente per produrre NGF e poi reimpiantate nel cervello. Ma questi metodi non rappresentano certo l’optimum”.

Far arrivare un farmaco basato su NGF al cervello per via intranasale, invece, è una strada promettente verso una possibile terapia, perché è un procedimento molto meno invasivo che potrà avere importanti ricadute cliniche: potrebbe bastare una spruzzata di NGF nel naso e questo, seguendo la pista dell’olfatto, dal naso s’intrufola negli spazi liberi tra cellule vicine fino a risalire al cervello.