Uno studio finanziato da Telethon di Università Statale di Milano e Centro Dino Ferrari mostra come migliorare la terapia già approvata basata sull’utilizzo di oligonucleotidi antisenso.

L’utilizzo di piccole sequenze di aminoacidi (peptidi) può migliorare l’efficacia della terapia basata sull’utilizzo di oligonucleotidi antisenso per l’atrofia muscolare spinale (SMA), malattia neurodegenerativa infantile che si manifesta con la progressiva perdita della funzionalità muscolare fino a paralisi respiratoria. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Molecular Therapy da due gruppi di ricerca supportati da Telethon, quello di Monica Nizzardo del Centro Dino Ferrari e quello di Stefania Corti del dipartimento di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti dell’Università Statale di Milano

«Le terapie ad oggi disponibili – spiegano le due giovani ricercatrici che hanno condotto lo studio, Margherita Bersani e Mafalda Rizzuti – sono in grado di modificare in modo significativo la storia naturale della malattia solo quando somministrate precocemente. Questo studio, finanziato dalla Fondazione Telethon, nasce dell’esigenza di migliorare la distribuzione nell’organismo e l’efficacia della terapia basata sul morfolino, breve sequenza di DNA in grado di correggere il gene mutato. In questo modo si potrebbe trattare la malattia anche nella fase sintomatica, quando solitamente viene effettuata la diagnosi nei pazienti». La diagnosi precoce è molto importante e in questo senso sono stati fatti grossi passi avanti negli ultimi anni, grazie per esempio all’introduzione dello screening neonatale, limitato però ancora solo ad alcune Regioni.  «L’utilizzo dei peptidi – continuano le ricercatrici – offre inoltre la possibilità di somministrare la terapia basata su morfolino attraverso il circolo sanguigno. In questo modo si potrebbe raggiungere meglio il sistema nervoso, anche quando la barriera naturale che lo protegge, quella ematoencefalica, ha ormai raggiunto la maturazione completa».

Questo studio ha quindi dimostrato che, somministrato coniugato a piccoli peptidi, il morfolino è in grado di incrementare i livelli della proteina che risulta ridotta nella Sma (SMN), anche quando viene somministrato dopo l’esordio dei sintomi: questo amplierebbe la finestra terapeutica rispetto al morfolino non coniugato, offrendo quindi maggiori opportunità ai pazienti. Nei modelli animali sintomatici a cui è stato somministrato il morfolino coniugato, i ricercatori hanno infatti osservato un significativo aumento della sopravvivenza e un importante miglioramento degli aspetti neuropatologici, senza effetti di tossicità. «Questi risultati – concludono le ricercatrici – dimostrano come l’utilizzo di peptidi possa migliorare una terapia già approvata basata sull’utilizzo di oligonucleotidi antisenso per la Sma, offrendo la possibilità di trattare la patologia in fase sintomatica mediante una via di somministrazione minimamente invasiva».