È proprio il caso di dire che l’unione fa la forza: si sono susseguite infatti una dietro l’altra le tre scoperte che la collaborazione tra Maria Teresa Carrì, Caterina Bendotti e Francesco Cecconi ha dato alla luce. I risultati, pubblicati di recente su prestigiose riviste scientifiche internazionali, riguardano la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) familiare e chiariscono alcuni meccanismi della malattia che determina paralisi progressiva ed esito fatale in pochi anni dalla comparsa dei primi sintomi.

La sclerosi laterale amiotrofica è infatti causata dalla perdita graduale di neuroni motori, le cellule del sistema nervoso che impartiscono ai muscoli i comandi del movimento. Circa il 20% dei pazienti affetti dalla SLA di tipo familiare presenta mutazioni nel gene che codifica per la superossido dismutasi (SOD1). Sebbene l’associazione tra la SLA di tipo familiare e il gene SOD1 sia nota da almeno dieci anni, i meccanismi attraverso i quali le mutazioni determinano la malattia sono tutt’oggi largamente sconosciuti. E non esistono farmaci in grado di arrestarne il decorso.

La ricerca che i gruppi della Carrì e della Bendotti portano avanti da anni grazie ai finanziamenti Telethon, rispettivamente presso il Centro di Neurobiologia Sperimentale “Mondino – Tor Vergata – Santa Lucia”di Roma e l’Istituto Mario Negri di Milano, ha chiarito che non è solo un danno intrinseco dei neuroni motori a determinare il manifestarsi dei sintomi, ma anche l’interazione tra diversi tipi di cellule nervose, i neuroni e le cellule gliali. È stato osservato infatti che esiste un “dialogo molecolare” tra queste cellule per cui segnali provenienti dai neuroni inducono le cellule gliali a rilasciare fattori infiammatori che a loro volta determinano la morte dei neuroni.

La speranza adesso è di riuscire ad intercettare contemporaneamente i processi infiammatori e i processi di morte neuronale per interrompere questo circolo vizioso in cui le cellule malate si scambiano segnali dannosi”, commenta la Carrì, che è professore associato di Biochimica del dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata” .

Grazie alla collaborazione con Francesco Cecconi, ricercatore dell’Istituto Telethon Dulbecco (DTI) presso l’Università di Tor Vergata, lo studio è stato poi esteso alla analisi di questi “segnali dannosi”. In particolare, si è potuto capire qual è, fra le varie possibili, la via di morte intrapresa dai neuroni sottoposti allo stimolo degenerativo. “Il risultato più esaltante” affermano i ricercatori “si è ottenuto eliminando dalle cellule malate la molecola chiamata Apaf1. Tale rimozione ha consentito alle cellule di sopravvivere e funzionare normalmente anche in presenza del gene SOD1 mutato.” Si apre dunque la strada allo studio di nuove strategie terapeutiche.

Gli studi clinici finora portati a termine si sono basati sull’impiego di farmaci che agivano solo sul danno dei neuroni. Questi risultati invece indicano che la SLA è una patologia multifattoriale che compromette non solo i neuroni motori, ma anche le cellule gliali. Quindi un potenziale trattamento dovrà funzionare a più livelli.

E’ importante tuttavia sottolineare che questa ricerca è interamente pre-clinica, cioè fornisce indicazioni che, essendo state ottenute in modelli sperimentali, devono essere confermate in maniera rigorosa prima di potere divenire una “speranza di terapia” per i pazienti” ha concluso la Carrì.

Il lavoro è stato svolto nel laboratorio di Neurochimica del Centro di Neurobiologia Sperimentale “Mondino-Tor Vergata-Santa Lucia” presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma.

Ferri A. et al,“Cell death in amyotrophic lateral sclerosis: interplay between neuronal and glial cells.”  FASEB J. 2004 Jun 18.

Bendotti C. and Carrì M.T. “Lessons from models of SOD1-linked familial ALS”. Trends Mol. Medicine 2004 July 19.

Cozzolino M et al, “Apoptosome inactivation rescues proneural and neural cells from neurodegeneration”. Cell Death Differ. 2004 Jul 16.