La nostra collega Fabiana Foresi racconta i segreti del programma televisivo diventato appuntamento annuale per milioni di telespettatori Rai.

Può essere sportiva, politica, televisiva e persino di ballo. Chi la vive in prima persona, di qualunque natura si tratti, ne parla come di un’esperienza unica. Potente. Che ti cambia. E non ti coglie mai uguale, anche se la si rivive. Più e più volte. Lo dice l’atleta, il ballerino, il conduttore e lo diciamo noi di Fondazione Telethon che con la nostra maratona televisiva quest’anno tocchiamo e superiamo il traguardo straordinario della sua trentesima edizione.

Una macchina enorme, che accende i suoi riflettori a dicembre, ma che non potrebbe illuminare, né tantomeno essere l’appuntamento da ben tre decenni del servizio pubblico, senza una costruzione minuziosa e attenta che dura un anno intero. Per raccontarla abbiamo chiesto aiuto alla nostra collega Fabiana Foresi, la responsabile di tutti gli eventi televisivi della Fondazione, in sintesi, l’anima della maratona tv. Normalmente non sta sotto i riflettori, ma gestisce progetti e umori, con determinazione e piglio deciso, e con un femminile con cui tiene saldamente le fila senza prevaricare.

Cos’è la Maratona televisiva per Telethon?

«La Maratona è chiaramente un momento molto importante per la Fondazione per la raccolta fondi utile alla ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare, ma lo è anche dal punto di vista della comunicazione: è il frutto di un anno intero di lavoro.

«È un momento corale di impegno, di positività, che si ripete sì ogni anno da trent’anni, ma sempre con energia nuova. La verità è che non esiste al mondo un prodotto televisivo così complesso».

Quante sono le ore effettive di programmazione? Quali sono i numeri di questo impegno e di questa fatica?

«I numeri della Maratona sono aumentati vistosamente negli anni. Ormai sono più di 22 ore di messa in onda sulle reti Rai nell’arco di una settimana – quest’anno quattro in più anche dello scorso – tra Charity Show, la prima serata del sabato condotta da Antonella Clerici – e lo Studio centrale -. Questa presenza copiosa ci permette di raccontare al grande pubblico più di 60 storie di famiglie con malati di malattie genetiche rare. È un’occasione che vogliamo onorare, con la passione sì, ma anche e soprattutto con la qualità di ciò che viene trasmesso».

Proprio per questo i nostri uffici si popolano nei mesi della Maratona e in quelli preparatori di professionalità molto diverse…

«È così. Veniamo felicemente invasi da circa 40 professionisti della televisione, tra autori e registi, che lavorano a stretto contatto con le anime più scientifiche della Fondazione per costruire contenuti credibili, contemporanei e capaci di coinvolgere il telespettatore. I diversi uffici lavorano fianco a fianco, quasi in simbiosi, per far sì che tutta la “macchina” funzioni alla perfezione. Una perfezione che non afferisce ad un esercizio di stile, ma alla comprensione di quanto il fare ricerca sia fondamentale per migliorare la vita o l’aspettativa di vita delle famiglie che vivono la fatica di una malattia genetica rara».

Come si conciliano contenuti scientifici con il linguaggio televisivo?

«Veicolare informazioni scientifiche con semplicità in televisione è davvero  molto difficile, ma è una sfida che raccogliamo con entusiasmo tutti gli anni, perché il nostro obiettivo è quello di dare risposte veritiere e attendibili sul lavoro che svolgiamo tutti i giorni con Fondazione Telethon. L’impegno messo in campo è trasversale: da una parte i professionisti della televisione sono chiamati a metterci nella condizione di raccontare al meglio, dall’altra ai nostri ricercatori chiediamo di utilizzare un linguaggio semplice e diretto per spiegare i passi compiuti dalla scienza. Non solo partecipando direttamente alla Maratona, ma diventando anche figure di supporto per gli autori televisivi. È davvero un gioco di squadra. Non potrebbe che essere così».

La maratona tv negli anni è cambiata… In cosa? C’è un elemento che è rimasto come costante?

«La Maratona, negli anni, ha cambiato molto il suo format, prima era un weekend televisivo, ora dura una settimana. Tra le novità l’introduzione di una prima serata, la realizzazione dei cortometraggi per raccontare le storie e i tanti conduttori Rai che si alternano per tutto il tempo nello Studio. La costante, anzi, le costanti sono invece la corsa contro il tempo, a cui seguono gli imprevisti, sempre dietro l’angolo: scioperi dei mezzi di trasporto, ospiti che saltano all’ultimo minuto, sono sicuramente tra gli eventi più frequenti. Ma, in un certo senso ci siamo abituati: quando accade ci rimbocchiamo le maniche e insieme troviamo una soluzione.

«Passione e dedizione non possono mai mancare, sono gli ingredienti fondamentali per lavorare al meglio». 

Antonella Clerici, conduttrice dello Charity Show ha twittato dopo la conferenza stampa di presentazione dell’evento, di sentire di avere ereditato la conduzione da Fabrizio Frizzi. Cosa li accomuna? 

«Sicuramente la grande umanità e il forte interesse per il sociale. Fabrizio e Antonella sono due persone dal cuore grande, amate dal pubblico per la spontaneità autentica, il calore e per un forte senso di responsabilità».  

Qual è il ricordo più bello che hai di Fabrizio Frizzi…

«Fabrizio e il tempo con lui sono un ricordo indelebile dei miei anni di Telethon e della mia vita. Se devo pensare ad un momento bello, che mi arriva di più con commozione, forse è l’ultima volta che ho avuto il piacere di stare da sola con lui nel suo camerino alla Dear (gli studi televisivi oggi dedicati proprio a lui, ndr). Aveva festeggiato il suo compleanno da pochi giorni e sono andata a trovarlo per portargli un regalo a nome della Fondazione, era un libro con i ricordi delle molte maratone, realizzato con foto sue insieme alle famiglie e ai ricercatori. C’era un po’ la storia di tutti noi…e del tempo buono insieme…».

Se chiudi gli occhi e pensi a tutte le maratone cosa ti emoziona di più?

«Sicuramente c’è tanto di Fabrizio (Frizzi, ndr), ma anche un episodio che non potrò mai scordare: l’incontro con un bimbo di pochi anni con una patologia genetica…ricordo di averlo preso in braccio sentendo in lui una forza inspiegabile… Mi sono sentita così vicina a lui, alla sua storia, alla sua famiglia…».

Che poi che si sia sempre risolutivi rispetto agli imprevisti, che si trovino risposte in extremis o che si sia maestri nel gestire temperamenti e eventuali malumori, lo stupore di fronte alla potenza emotiva di un abbraccio così disarmante, in quel momento lì e in questa confidenza, sta forse il più prezioso valore della Maratona, che è di tutti quelli che la costruiscono, la vivono e la fanno Cosa Speciale.