Un articolo pubblicato in questi giorni dal Corriere della sera a firma di Milena Gabanelli e Domenico Affinito analizza in modo approfondito il panorama delle iniziative benefiche scaturite dall’emergenza Covid in Italia. Una considerevole quantità di denaro è stato donato, nel giro di pochi mesi, da cittadini e aziende a diverse istituzioni locali per far fronte ai costi sanitari e sociali determinati da questa crisi.

L’inchiesta pone, tuttavia, anche l’attenzione sul fatto che ad oggi non vi sia piena chiarezza su come siano stati e saranno investiti gli 815 milioni raccolti, una parte dei quali non risultano ancora impiegati.

Ciò mi spinge a condividere una riflessione che mi capita spesso di fare e che viene dalla mia personale esperienza di donatrice e di persona che per lavoro gestisce denari donati dal pubblico per il compimento di una missione.

Di fronte alle grandi catastrofi, molte persone possono essere sollecitate con successo ad agire rapidamente per dare il proprio contributo. Fa parte, per fortuna, della natura umana essere colpiti dalla sofferenza e voler fare qualcosa per alleviarla. E lo slancio solidale è tanto più imperioso quanto è forte l’ondata emotiva che ci colpisce.

Ondata emotiva a cui il racconto mediatico degli eventi contribuisce in modo significativo con la moltiplicazione e diffusione di immagini iconiche che raggiungono e coinvolgono tutti.

Gli esempi sono numerosi e presenti alla memoria collettiva anche solo se ripensiamo a questi ultimi anni: dal campanile di Amatrice al tetto di Notre Dame in fiamme fino all’immagine potentissima del convoglio dei camion militari a Bergamo.

Troppo spesso, però, si è verificato che a fronte di una grande generosità popolare la risposta si sia dimostrata inadeguata.

E ciò non è dovuto tanto a operazioni poco trasparenti o addirittura dolose- che pure, purtroppo, si sono verificate in alcuni tristissimi episodi.

Molto più spesso accade che a una raccolta fondi importante non sia affiancata una macchina distributiva competente. Cioè una struttura professionale in grado di mappare i bisogni, definire le priorità e operare scelte efficaci di valutazione dei progetti, assegnazione dei fondi e monitoraggio delle opere avviate.

In altre parole viene a mancare quella intermediazione, svolta tipicamente dagli enti no-profit, che fa la differenza tra una nobile dichiarazione d’intenti e la capacità di avere un reale impatto.

Oltre a raccogliere i fondi è fondamentale saperli amministrare per realizzare con efficacia l’obiettivo per cui sono stati donati.

È un tema di responsabilità che non riguarda solo gli enti che gestiscono le donazioni, ma anche il donatore stesso: la responsabilità di operare scelte consapevoli. Vale a dire pretendere di avere accesso alle informazioni necessarie per conoscere la modalità e la strategia di gestione della propria donazione e verificarne, a posteriori, l’esito.

Anche spinti da un grande dolore o da una grande urgenza non affideremmo il nostro denaro nelle mani di chiunque senza voler capire come sarà speso per risolvere un problema che riguarda noi o la nostra famiglia: non c’è motivo per agire in modo diverso quando doniamo per aiutare un “altro” sconosciuto o lontano.