L’impegno di Beatrice e Federico per far introdurre il test di screening neonatale per la leucodistrofia metacromatica nella loro regione ha una sola e unica ragione: dare ad altri quell’opportunità che Elettra, la loro bambina, non ha potuto avere.

“Per la nostra Elettra, la terapia genica non è più un’opportunità. Grazie allo screening neonatale, però, potrebbe esserlo per altri bimbi che in futuro dovessero nascere con la sua stessa malattia, la leucodistrofia metacromatica. Ecco perché ci impegniamo per far introdurre anche nella nostra regione, il Piemonte, questo test che ora finalmente comincia a essere sperimentato in altre regioni”. A parlare sono Beatrice e Federico, genitori di Elettra, nove anni: una bimba che nei suoi primi mesi di vita sembrava perfettamente sana, anzi addirittura precoce, ma che in pochissimi anni avrebbe cominciato a manifestare i sintomi della sua grave malattia.

Qualcosa che non va

Elettra ha solo tre mesi quando si verifica un episodio che a posteriori si rivelerà la prima manifestazione della malattia: “Ha avuto delle ‘scosse’, che al pronto soccorso però sono state interpretate come reflusso gastrico” racconta la mamma, ricordando che un’altra cosa che, con il senno di poi, avrebbe dovuto metterli in allarme era il rifiuto del ciuccio per la tendenza a tenere sempre la lingua fuori.

A due anni arriva un altro episodio “sentinella”: “Le pupille di Elettra hanno assunto dimensioni diverse, un fenomeno che i medici chiamano anisocoria e che nella maggior parte dei casi è innocuo”. La visita oculistica non rileva problemi alla vista, per cui viene prescritta una risonanza magnetica al cervello per escludere lo schiacciamento del nervo ottico dovuto per esempio ad un tumore. Anche in questo caso l’esame risulta negativo, ma sempre a posteriori una lettura più attenta avrebbe già potuto mettere in evidenza le prime anomalie nella sostanza bianca, l’insieme dei fasci di fibre che collegano tra loro le cellule del cervello. Quando una malattia è così rara come la leucodistrofia metacromatica, però, lo è anche per i medici, a meno che non siano specialisti del campo.

Elettra, una bambina con leucodistrofia metacromatica, in bicicletta

Intanto Elettra cresce, impara a parlare e camminare e inizia a frequentare l’asilo. Ma è proprio durante il primo anno di scuola materna, a tre anni e mezzo, che la situazione precipita: “Era l’inizio del 2019. Dopo un episodio di febbre alta nostra figlia non riesce più a riprendersi completamente” racconta papà Federico. “Non era in grado di trattenere la pipì, inciampava spesso, non riusciva più a scendere le scale. Inoltre, tendeva a isolarsi, mostrando cambiamenti di carattere: quella che prima era un gran chiacchierona a un certo punto è diventata sempre più introversa, bisognava tirarle fuori le parole di bocca, fino a quando ha smesso definitivamente di comunicare”.

Una diagnosi dolorosa

A questo punto i genitori sono molto preoccupati: inizia una serie di accertamenti e i medici capiscono che tutti quei sintomi che presi singolarmente potevano sembrare innocui potrebbero invece essere la spia di qualcosa di più grave. La famiglia, che vive in provincia di Cuneo, viene indirizzata all’Ospedale Regina Margherita di Torino, dove effettivamente arriva la diagnosi di leucodistrofia metacromatica, una malattia genetica neurodegenerativa di cui i genitori erano inconsapevolmente portatori sani.

“In fondo mi aspettavo una notizia così dolorosa” ricorda Beatrice. “Mio zio è medico e pur occupandosi di altro mi aveva fatto capire che non ci si poteva attendere nulla di buono”.

“Un giorno, durante uno degli accertamenti di Elettra, in cui una giovane dottoressa non riusciva a trattenere le lacrime di fronte ai risultati di quegli esami”.

Beatrice, mamma di Elettra

La notizia è terribile, ma Beatrice racconta che si sono sentiti accolti e accompagnati dai medici in questo percorso difficile. Dopo la diagnosi, i medici di Torino li hanno indirizzati da Francesca Fumagalli, neurologa che lavora all’Ospedale San Raffaele di Milano nell’équipe diretta dal prof. Alessandro Aiuti: gli unici al mondo a somministrare la terapia genica per la leucodistrofia metacromatica messa a punto nei laboratori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano (SR-Tiget). La terapia, che permette di trattare la malattia fornendo all’organismo una copia corretta del gene difettoso che l’ha provocata, sta dando ottimi risultati quando somministrata nella fase pre-sintomatica della malattia. Elettra, però, è già in una fase troppo avanzata e non può riceverne dei benefici.

Elettra, oggi

Quello che si può offrire a Elettra non è la cura, ma una presa in carico adeguata e, su questo, mamma Beatrice è soddisfatta: “È seguita molto bene, fa fisioterapia e psicomotricità in un centro specializzato e a casa viene un’infermiera”. Certo, c’è stato anche un lungo lavoro di accettazione della situazione, grazie a un lungo percorso di supporto psicologico, anche perché ci sono stati momenti davvero molto duri. Come quelli in cui la bimba cominciava a rendersi conto di non riuscire più a fare quello che faceva prima e che gli altri bambini continuavano a poter fare.

Oggi Elettra non parla e non si muove, è alimentata con la PEG ed è difficile capire che cosa provi, anche se si percepisce che le piace molto guardare i cartoni animati in tv: “Ride quando le piacciono e si fa capire quando non sono di suo gradimento. Allo stesso modo, si vede che le dà gioia interagire con il nostro cane; le piacciono anche le passeggiate all’aria aperta, ovviamente in carrozzina, anche se purtroppo si stanca velocemente”.

Elettra, una bambina con leucodistrofia metacromatica, disegna insieme alla maestra
Elettra disegna insieme alla maestra

Oltre all’eccellente assistenza sanitaria, sotto varie forme, anche la scuola merita un plauso per i genitori. “Elettra ovviamente è impossibilitata a seguire le regolari lezioni, viste le gravi limitazioni imposte dalla malattia. Tuttavia, è circondata dall’affetto e dal sostegno dei suoi compagni di classe e delle maestre, in particolare della sua insegnante di sostegno Enza, che nelle mattine libere dalle terapie viene a casa e le offre la possibilità di trascorrere ore serene e spensierate guardando video musicali, ascoltando canzoncine, leggendo fiabe e, quando possibile, disegnando o facendo qualche piccolo lavoretto manuale: un vero toccasana per spezzare la monotona routine imposta dalla patologia”.

L’importanza dello screening neonatale

Per mamma Beatrice e papà Federico c’è un unico modo, ora, per dare un senso a questa esperienza così dolorosa.

“Sappiamo che la terapia genica non ha potuto essere un’opportunità per la nostra Elettra, ma vogliamo che possa esserlo per tutti gli altri bambini con la stessa malattia”.

I genitori di Elettra

L’unico strumento grazie al quale questo potrebbe accadere è lo screening neonatale: un test che permetterebbe di individuare alla nascita la malattia; quindi, prima della manifestazione dei sintomi e in tempo per somministrare la terapia genica, che dal 2020 è un farmaco approvato in Europa (e dal 2024 negli Stati Uniti) e dal 2022 è rimborsato in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale. Finora, infatti, a ricevere la terapia sono stati esclusivamente fratelli e sorelle ancora asintomatici di bambini più grandi ai quali la malattia era già stata diagnosticata per la presenza di sintomi e che si sono rivelati malati in seguito a un test genetico.

Un test di screening neonatale per la leucodistrofia metacromatica definitivamente approvato non c’è ancora, ma ci siamo vicini: nel 2023 è stato avviato uno studio pilota in Toscana e ne è appena partito uno anche in Lombardia, promosso da Telethon. L’impegno di Beatrice e Federico è portarlo anche in Piemonte e nel resto d’Italia: per non lasciare indietro nessuno.