La ragazza ha convissuto dall’infanzia con un’atrofia ottica bilaterale. Solo da adulta, grazie a Fondazione Telethon e al Tigem, ha scoperto di avere una malattia mitocondriale. Da quel momento la sua vita è cambiata e sensibilizza le persone sulle malattie genetiche rare.

Annalisa ha 34 anni, vive a Marconia, in provincia di Matera, con mamma Elisa, papà Adriano e i suoi due fratelli Mattia ed Emanuele. Da quando ha 2 anni convive con un’atrofia ottica bilaterale, ma solo nel 2020, all’età di trent’anni, ha scoperto di avere una malattia genetica rara mitocondriale determinata dalla mutazione del gene SLC25A46.

Annalisa è riuscita finalmente a dare un nome alla sua condizione grazie al Programma malattie senza diagnosi, un’iniziativa unica in Italia, che Fondazione Telethon ha ideato nel 2016 per cercare di offrire una diagnosi a numerose famiglie, che ogni giorno convivono con una malattia genetica rara senza conoscerne il nome.

Annalisa ha vissuto per gran parte della sua vita in un duplice buio. Da un lato quello fisico, legato alla vista, che gradualmente l’ha portata ad essere fino ai 18 anni ipovedente e poi non vedente. Dall’altro il buio dato dall’incertezza della sua malattia, dal non conoscere la causa delle sue difficoltà fisiche.

Nonostante il buio intorno a lei, Annalisa è stata una bambina ed è oggi una donna consapevole e determinata. «Da piccolina ho cercato sempre di giocare come tutti i miei coetanei, andando persino in bicicletta. Non mi sono persa d’animo neppure quando è iniziata la scuola elementare e per me è diventato più difficile leggere. Mi piaceva studiare, così ho iniziato ad usare ausili che mi permettessero di non restare indietro: video ingranditori, lentine, leggii».

Purtroppo però la malattia, di cui ignora il nome, con gli anni continua a progredire. All’atrofia ottica bilaterale si unisce una neuropatia sensitivo – motoria progressiva. Ma la causa continua a restare ancora sconosciuta.

Annalisa non si abbatte e decide di portare avanti l’amore per lo studio, in particolare per la storia, così si iscrive all’università e usando un computer con sintetizzatore vocale riesce a dare gli esami. «Ho capito che se non potevo usare gli occhi, allora potevo usare le orecchie» e oggi Annalisa si è laureata in Storia e Filosofia ed è iscritta al corso Magistrale in Storia e Civiltà Europee dell’Università di Potenza.

L’anno della svolta

Il 2016 è per Annalisa e per la sua famiglia un anno di svolta. La ragazza decide di diventare volontaria di Fondazione Telethon, perché crede sia importante rendere visibile l’invisibile e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle malattie genetiche rare. È proprio grazie a uno dei Coordinatori di Fondazione Telethon, Eliana Clingo, che Annalisa scopre l’esistenza del Programma malattie senza diagnosi.

«La prima volta che ho incontrato il dottor Nicola Brunetti-Pierri e la dottoressa Gerarda Cappuccio mi hanno accolta a braccia aperte». Attraverso test di sequenziamento di ultima generazione, finalmente il buio, che avvolgeva Annalisa da quando aveva due anni, si è completamente dissolto.

«Mi ricordo che eravamo in pieno Covid, era il 10 novembre 2020, così i dottori mi hanno dato la notizia tramite Skype. All’inizio sono stata molto spaventata. Non volevo cercare nulla sulla mia malattia, avevo paura. Poi ho deciso di creare una pagina Facebook per trovare altre persone come me e per sensibilizzare più utenti possibili sulle malattie genetiche rare».

Attraverso questa pagina Annalisa è entrata in contatto con due famiglie americane e una di Gerusalemme. Al momento il suo sembra essere l’unico caso italiano conosciuto, ma secondo i medici sicuramente ce ne sono anche altri, ma non sono stati ancora diagnosticati.

Grazie al Programma Malattie senza Diagnosi, coordinato dall’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli, Annalisa e altre 411 persone in questi 8 anni hanno scoperto il nome della propria malattia genetica. Ma sono ancora molte, migliaia, le malattie genetiche rare non identificate.

Per questo Fondazione Telethon ha deciso per il triennio 2024-2026 di coinvolgere circa 500 nuove famiglie, selezionate dalla Rete dei centri clinici aderenti al Programma, e di rianalizzare circa 200 casi non ancora risolti di famiglie rimaste senza diagnosi tra i casi 2016-2023.

Avere una diagnosi dopo anni di buio, permette ai pazienti ma anche alle loro famiglie di rinascere, di cambiare prospettiva e avere un nuovo approccio verso il futuro. Conoscere il nome della propria malattia offre la possibilità di accedere a tutte le informazioni disponibili, tramite la letteratura scientifica internazionale o tramite l’esperienza di altre famiglie, e di migliorare la presa in carico e la gestione sia della quotidianità che delle situazioni di emergenza.

Lo sa bene Annalisa, che dal giorno della diagnosi è ancora più determinata. «Telethon esiste!» ha scritto sulla sua pagina Facebook quel 10 novembre di quattro anni fa.