Intervista a Vincenzo Nigro, coordinatore del programma Telethon per le malattie senza diagnosi: le novità del prossimo triennio.

Vincenzo Nigro tigem
Vincenzoo Nigro

Avviato per la prima volta nel 2016, il Programma Telethon per le malattie senza diagnosi rappresenta un contributo concreto della Fondazione per provare a offrire una risposta a famiglie che per anni hanno letteralmente vagato nel buio. Grazie un nuovo finanziamento – circa un milione di euro per il triennio 2024-2026 – il programma si propone di coinvolgere 500 nuove famiglie e di analizzare nuovamente 200 casi non ancora risolti tra quelli già coinvolti finora. 

Cabina di regia del progetto, che coinvolge 19 centri clinici su tutto il territorio italiano, è l’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli. Il coordinatore scientifico Vincenzo Nigro, che è anche professore ordinario di genetica medica all’Università “Luigi Vanvitelli” di Napoli, ne spiega obiettivi e novità. 

«Le cosiddette tecniche di sequenziamento di nuova generazione, o NGS, sono ormai parte integrante della pratica clinica per diagnosticare malattie genetiche molto rare che “sfuggono” alle analisi standard – spiega Nigro -. Tuttavia, l’accesso a queste tecniche avanzate di diagnosi, nonostante le evidenze scientifiche a supporto e le raccomandazioni degli esperti, non è ancora uniforme sul territorio nazionale. Per questo è importante che il programma Telethon continui a esserci e a coinvolgere sempre più centri clinici. Non solo: grazie a nuove strumentazioni all’avanguardia e alle alte competenze acquisite ci dedicheremo anche a quei casi particolarmente complessi che ad oggi non hanno ancora una risposta. Nonostante tutto, infatti, circa la metà dei quasi mille giunti finora alla nostra attenzione è ancora irrisolto». 

Una vera e propria indagine

Il lavoro del team del programma Telethon è una vera e propria indagine, che in base agli “indizi” a disposizione va alla ricerca di una risposta. Si procede per gradi di complessità sempre maggiori, escludendo via via le ipotesi più probabili. Al contempo, grazie al progredire continuo delle conoscenze, casi un tempo insolubili possono avere una nuova opportunità a distanza di tempo.  

Come ricorda Nigro, «oggi sappiamo che il genoma umano contiene circa 20mila geni, cioè porzioni che codificano per proteine che svolgono una determinata funzione. Di questi, però, poco più di un quinto sono stati associati, quando mutati, a specifiche malattie. Degli altri ancora non abbiamo informazioni: possiamo quindi aspettarci che una buona percentuale di quei casi che oggi non riusciamo a risolvere dipendano da difetti in uno di quei geni che al momento non sono ancora stati identificati come responsabili di una malattia. Se pensiamo però che ogni anno vengono descritti circa 170 nuovi geni-malattia, ecco che nel tempo le possibilità di diagnosi aumentano. Dall’altra parte, non dobbiamo dimenticare che ci sono anche malattie che dipendono da difetti che non si trovano nei geni, ma in quella parte molto più abbondante del nostro patrimonio genetico che non codifica per proteine ma ha altre funzioni, spesso ancora sconosciute». 

Ecco allora che, a seconda del caso specifico, gli scienziati hanno oggi a disposizione diversi strumenti d’indagine. In primis si esegue il sequenziamento dell’esoma del trio familiare, che premette di cercare eventuali mutazioni nella porzione codificante del patrimonio genetico del paziente e dei suoi genitori.  

«È molto importante poter analizzare il DNA non solo del paziente, ma anche dei suoi genitori – spiega Nigro – perché questo ci permette di fare dei confronti e individuare anche le cosiddette mutazioni “de novo”, che non vengono cioè ereditate ma insorgono spontaneamente nelle primissime fasi dello sviluppo. Ben il 70 per cento dei casi che abbiamo risolto finora presenta mutazioni di questo tipo: saperlo è molto importante, anche per escludere la patologia in altri fratelli o sorelle e per le successive scelte riproduttive dei genitori. Capita molto spesso che una coppia decida di non avere altri figli proprio perché non sa se potrebbe trasmettere la stessa malattia del fratello o della sorella». 

Nuove tecnologie, nuove speranze

Quando però il sequenziamento dell’esoma dà esito negativo, non permette cioè di arrivare a una diagnosi, ecco che entrano in gioco altre tecnologie e strumenti, di cui il gruppo di ricerca diretto da Vincenzo Nigro si è dotato nel tempo. Innanzitutto, si possono rianalizzare i casi irrisolti avendo a disposizione una maggiore potenza di calcolo, oppure si può decidere di sequenziare l’intero genoma del trio familiare, e non soltanto l’esoma. Quando anche questo non fosse sufficiente, entrano in gioco delle tecnologie molto sofisticate dedicate proprio all’analisi dei casi più complessi. 

«Per esempio, possiamo analizzare anche l’RNA, a partire da biopsie di tessuto – spiega Nigro. Questo permette di individuare particolari difetti chiamati di “splicing”, che inficiano il processo con cui i geni vengono espressi in proteine. Da poco abbiamo acquisito un metodo sviluppato dall’Università di Stanford che consente un’analisi molto più rapida e fornisce una lettura completa del genoma in sole 5 ore, avvalendosi anche dell’intelligenza artificiale per l’interpretazione dei dati. Ancora, possiamo analizzare le anomalie cromosomiche in modo più dettagliato rispetto alle tecniche tradizionali e individuare meglio i mosaicismi, cioè quei casi in cui un’eventuale anomalia è presente soltanto in alcune cellule. Ancora, un altro metodo ci consente di analizzare la distribuzione di particolari gruppi chimici che possono determinare se un gene viene “letto” o meno. Possiamo insomma affrontare il problema da vari punti di vista, grazie alle competenze che abbiamo maturato e al confronto con colleghi di tutto il mondo. Una mancata risposta oggi, può diventare una soluzione trovata domani».