Di Renata

6° GIORNO NOGALES – TUCSON   MISSILE   In questo viaggio sto incontrando tante forme diverse di “segregazione”. Non esistono solo le barriere fisiche a impedirci di esprimere il nostro essere, ma anche barriere mentali che ci impongono e che ci imponiamo. Oggi attraverso il sito di Fondazione Telethon vi racconterò di un “museo” totalmente accessibile e visitabile in carrozzina. Eppure, al suo interno la sensazione di non-libertà è fortissima.

L’ex base missilistica intercontinentale (disinnescata nel 1987 insieme ad altre presenti in Arizona) si trova sulla strada tra Nogales e Tucson. È l’unica ad essere stata mantenuta intatta e trasformata in una esposizione permanente: il “Titan Missile Museum”.

Tutto è rimasto proprio come allora, ci spiega la guida che ci accompagna e ci racconta come viveva la squadra di 6 persone che stazionava nella base pronta ad attivare su ordine della Casa Bianca un ordigno che aveva una potenza seicento volte superiore alla bomba di Hiroshima. Questo missile, se attivato, avrebbe colpito un bersaglio ad una distanza di circa 10.000 km. Quell’ordine fortunatamente negli oltre vent’anni di attività della base non arrivò mai e nessuno ha mai avuto il compito di girare quella chiave che avrebbe distrutto vite e cambiato il destino del mondo.

Durante la visita ho cercato di immedesimarmi in una delle persone che passavano giorni e notti all’interno della base a 60 metri di profondità. Non potevano mai trascorrere del tempo da soli perché, per motivi di sicurezza, dovevano sempre essere almeno in due. Vivevano le giornate manutenendo questo missile alto 30 metri per essere certi che, al bisogno, sarebbe stato efficiente nella sua missione distruttiva. Chissà come facevano a “manutenere” anche il loro stato mentale e proteggerlo dallo stress. La guida ci ha detto che c’erano molti controlli e che la sicurezza di tutti è sempre stata garantita. Io lì sotto tanto tranquilla non ci starei neppure oggi, neppure con l’ordigno disinnescato.

7° GIORNO TUCSON – NOGALES – TUCSON    CONTROLLO   Alle 7 avevamo appuntamento alla base militare di Tucson per incontrare Dan Hernandez, il militare appartenente al corpo dei BORDER PATROL che ci accompagnerà in un tour per spiegarci le attività di controllo e le funzioni del corpo al quale appartiene.

Dan si è dimostrato da subito molto gentile. Abbiamo caricato carrozzina e Batec sulla Jeep di ordinanza ed abbiamo ripercorso la strada percorsa per arrivare a Tucson. La prima sosta l’abbiamo fatta al campo di allenamento. Ci sono dei bellissimi Mustang che vengono utilizzati per i controlli a cavallo. C’è anche una sorta di riproduzione della “Fence” (così viene chiamato il muro da queste parti) con la quale i militari vengono addestrati a prevenire i passaggi. Dan è abituato ad accompagnare delegazioni, giornalisti e fotografi. Risponde alle domande in modo diplomatico mentre ad alcune non risponde dicendo semplicemente che non può farlo per motivi tattici. Si presta a farsi fotografare (cosa vietata ai colleghi).

Si prosegue verso Nogales e ci dirigiamo direttamente in direzione della “fence”. Lui come i suoi colleghi ritengono inutile costruire un muro più alto. È convinto che i loro controlli, uniti ai sensori sparsi nel deserto, le telecamere posizionate nei punti critici, le perlustrazioni aeree, a cavallo e tutto il resto siano più che sufficienti. Sarà comunque il corpo dei Border Patrol a dare le raccomandazioni su dove sarà meglio innalzare la barriera di cemento. Ci mostra una zona dove la “fence” si abbassa a tal punto da diventare praticamente inesistente.

Sembra che il giro sia terminato ma ci fermiamo ad attendere perché, dice, nel caso si verifichi un arresto, avremmo la possibilità di fotografarlo. Sinceramente non sappiamo se essere contenti o no. L’idea di essere presenti mentre arrestano uno dei migranti, magari proprio uno di quelli incontrati il giorno prima non ci piace per niente. Fortunatamente, nessun arresto si è verificato e Dan ci liquida rapidamente riaccompagnandoci a Tucson.

Ci rimane un senso di inutilità per questa mattinata passata con lui. Sapevamo che avremmo potuto vedere solo quello che loro avrebbero voluto farci vedere, ma speravamo che avremmo avuto almeno la possibilità di vedere altre stazioni nel deserto o i posti di blocco con i cani antidroga.

Il tempo è scaduto. Sono felice di aver ripercorso questo viaggio insieme a voi grazie a Fondazione Telethon, ma adesso dobbiamo tornare alla vita di tutti i giorni. Rimane il ricordo di chi abbiamo conosciuto, di cosa abbiamo visto. Ogni volta che si torna da un viaggio si è diversi, le esperienze che abbiamo vissuto ci cambiano inconsapevolmente. Non sarà una malattia genetica a fermarmi, sono ancora più convinta di proseguire per la mia strada: la ricerca mi permette una libertà che anni fa ad altri nella mia stessa condizione era negata. E per questo sono grata a Fondazione Telethon e a tutti coloro che sostengono la ricerca scientifica contro le malattie genetiche rare. Grazie e alla prossima avventura!

Tappa precedente          In viaggio con Renata: incontri che ti cambiano

Chi è Renata?

Renata è una donna forte, ironica, amante della fotografia e dei viaggi. Scopre il nome della propria malattia, la distrofia muscolare dei cingoli, solo da adulta. I primi sintomi arrivano già a 18 anni quando perde peso e si sottopone a vari esami che mostrano uno quadro clinico complicato. Ma non perde la sua autonomia nonostante la disabilità. Solo a 42 anni riceve una diagnosi ufficiale, a cui seguirà una brutta caduta che compromette la sua mobilità. Da quel momento in poi inizia ad usare la carrozzina, anche se a casa cammina sempre. Data la sua passione per la fotografia, comincia a frequentare un corso in cui incontra il suo attuale compagno fotoreporter con cui decide di cominciare a girare il mondo. Ogni viaggio è più complicato, ma richiede solo molta organizzazione. Perché Renata vuole superare le barriere e andare oltre i confini.