«Andare lontano è un concetto che mi appartiene personalmente. Nella mia vita ho già compiuto questa scelta per motivi professionali e, ora, sposare e diffondere le finalità di questa campagna mi emoziona e mi trova ancora più motivato. Questi sono i giorni del ritorno a scuola e tutti i bambini devono avere l’opportunità di un futuro migliore e la ricerca per molti di loro rappresenta il futuro».

Vincenzo Fasanella (ma preferisce Enzo), torinese di nascita, ex dirigente bancario e coordinatore Telethon di Alessandria dal 2005, rispecchia l’atteggiamento di pragmatismo e grande consapevolezza con cui, sin dall’inizio di questa sua esperienza al fianco della Fondazione, ha interpretato il proprio impegno.

A cosa ti fa pensare il simbolo di questa campagna: la barchetta? 
Io identifico la barca proprio con la ricerca scientifica condotta da Telethon. Il nostro scopo è quello di agevolare la navigazione di questa barca attraverso il percorso complesso, ma inevitabile, verso il traguardo della cura. Quanto più lontano questa barchetta saprà arrivare, tanta più speranza sapremo restituire ai pazienti affetti dalle malattia genetiche e alle persone che li amano. Abbiamo il dovere di compiere sempre un passo in più di quanto attualmente facciamo per aiutare la ricerca.

Da dove parte la tua esperienza con Telethon?
Sembrerà singolare, ma questo impegno parte da un dubbio. Ero da poco in pensione, nel 2005, quando mi venne proposto di impegnarmi a favore di Telethon. Il primo sentimento fu di scetticismo. Mi ricordo ancora che ero in treno verso Roma, dove mi attendevano alcuni dirigenti della Fondazione, e mi dibattevo tra pensieri di incertezza sulla reale finalità delle attività dell’organizzazione e sull’utilizzo dei fondi. Poi l’incontro con Susanna Agnelli ha diradato le nubi e mi ha fatto entrare in contatto con un universo di entusiasmo, accoglienza e competenza, un universo con cui convivo, da oltre 12 anni, la responsabilità di sostenere la ricerca e che riempie buona parte della mia esistenza.

Come è organizzata la tua attività di coordinatore ad Alessandria?
Se dicessi che sono tutte rose e fiori mentirei. Non sempre gli obiettivi che ci prefiggiamo si trasformano in risultati concreti, prima di tutto perché il nostro “staff”, ad Alessandria, è formato sostanzialmente da me e un mio amico e collega. Ed è per questo che mi affido spesso a soggetti terzi per l’organizzazione e l’allestimento degli eventi per il reclutamento di nuovi volontari o la raccolta di fondi. Non perdo l’occasione per coinvolgere l’associazione sportiva o culturale di turno, chiedo di coniugare il nome di Telethon al torneo di pallavolo o di calcetto, entro in contatto con molta gente spiegando personalmente cosa facciamo per la ricerca e dove vanno a finire i fondi che raccogliamo.

Quali sono le sfide che nel tuo ruolo di coordinatore ti trovi più spesso ad affrontare?
Come è successo a me molti anni fa, devo scalfire il dubbio che spesso molta gente nutre non solo nei nostri confronti, ma di tutte le organizzazioni che chiedono supporti in denaro. Io spiego tutto in prima persona, perché credo che solo attraverso lo scambio umano i messaggi possano giungere al cuore delle persone con più efficacia.

Qual è la tua personale “ricetta” per far conoscere il lavoro che la Fondazione fa ogni giorno?
La mia ricetta si chiama semplicemente verità. Come detto, vado sempre a illustrare personalmente le nostre finalità. Spesso le persone si avvicinano ma non sempre rimangono. Non importa, non ci scoraggiamo. Ogni singolo volontario che, non avendo conosciuto precedentemente la Fondazione, la sua organizzazione, i centri di ricerca, i risultati terapeutici raggiunti, si avvicina e rimane per sostenerci noi lo consideriamo un fiore all’occhiello. L’onestà e la trasparenza alla fine pagano sempre.