Scoprire di avere una patologia genetica ad un mese dal matrimonio non vuol dire “semplicemente” vedersi cadere il mondo addosso. Significa rischiare di vedere sgretolato un sogno ancor prima di farlo.

L’immagine, ormai certa, di un compagno, dei bimbi, una famiglia, si dissolve ancor prima di comporsi. A Erika è successo. Dopo alcune analisi per un intervento, ha ricevuto una diagnosi precisa: sindrome del QT lungo. Una patologia cardiaca caratterizzata da un elevato rischio di aritmie (irregolarità del battito), che possono provocare sincope e arresto cardiaco.

Nel tourbillon di emozioni, cerca una spiegazione , un senso a quel destino che arriva dal nulla. «Ho sempre fatto una vita normale; ho praticato tanto sport; non ho mai avuto avvisaglie. Come è possibile tutto questo?». Poi domande e incubi cominciano a riguardare il futuro. «Come prenderà la mia malattia Davide? Mi vorrà ancora sposare? I nostri figli potrebbero avere lo stesso problema; ne vorrà avere? Ci rinuncerà in partenza?».

La reazione di Davide le restituisce serenità e lucidità. Il futuro sposo è chiarissimo: «Sei sempre Erika; non cambia niente. Andiamo avanti così». Con questo stato d’animo lo spettro che un figlio possa avere il 50 per centro di ereditare la malattia non dissuade i due ragazzi dal sogno della genitorialità. Si informano, ne parlano, valutano, e a gennaio del 2012 nasce Marrico. Il piccolo è affetto da sindrome del QT lungo, ma conoscere da subito il problema dà loro un vantaggio: si possono iniziare immediatamente le terapie e prendere le giuste precauzioni per evitare il dramma della morte improvvisa.

I betabloccanti diventano una costante assoluta nella vita della famiglia; sono il lasciapassare di Erika e Marrico verso una vita abbastanza vicina alla normalità. Ma questo finisce per nasconde la spada di Damocle che pende sulla testa di questa giovane famiglia, tanto da trarre in inganno più di qualcuno. La rarità della malattia e la conoscenza superficiale portano addirittura al paradosso: «Mi dicono che sono esagerata; che il bimbo è bello e sano e che io mi preoccupo senza motivo».

Papà Davide e mamma Erika si trovano tra i classici due fuochi. Tutelare il bimbo con il rischio di farne un recluso o permettergli una vita “normale” con il terrore di esporlo a pericoli terribili. Una situazione che angoscia, soprattutto pensando al futuro, quando Marrico vorrà correre, saltare, fare sport. E rifiuti e divieti peseranno come macigni.

Erika soffre, lotta, ma spera e lancia una preghiera ai ricercatori:

«Aiutatemi a dire a mio figlio che potrà giocare a rugby!».