Rigenerare tessuti sfruttando le potenzialità delle cellule staminali è una delle sfide più avvincenti e seguite della ricerca biomedica attuale: alla base c’è l’idea di indirizzare secondo le proprie necessità la naturale capacità di queste cellule di dare luogo a specifici tessuti come quello muscolare, osseo o nervoso.

Per malattie degenerative – spesso di origine genetica – in cui si assiste impotenti alla progressiva distruzione di organi fondamentali, le cellule staminali rappresentano sicuramente una delle strade da percorrere nella ricerca di una cura.

Strada che hanno scelto Giacomo Comi e Stefania Corti del Centro Dino Ferrari dell’Università di Milano, che da anni studiano – anche con il sostegno di Telethon – come applicare la medicina rigenerativa a malattie neuromuscolari di origine genetica come l’atrofia muscolare spinale (Sma).

«Ad oggi la dimostrazione più lampante della possibilità di rigenerare tessuti umani a partire dalle cellule staminali è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, strategia terapeutica ormai consolidata per curare i tumori del sangue – spiega Comi –. Nel caso del sistema nervoso ci sono più difficoltà, non solo per la maggiore complessità strutturale, ma anche per la scarsa tendenza di questo tessuto a rigenerarsi. Negli ultimi anni la ricerca in questo campo ha subito una grande accelerazione grazie alla scoperta – che quest’anno è valsa il premio Nobel a Shinya Yamanaka – delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), ottenute cioè in laboratorio grazie alla “riprogrammazione” di cellule adulte come quelle della cute. Inducendo l’espressione di specifiche proteine, è possibile infatti far ritornare delle cellule adulte allo stadio staminale, restituendo una capacità differenziativa paragonabile a quella delle cellule embrionali».

Grazie alle iPS, i ricercatori dell’Università di Milano stanno provando a sviluppare in laboratorio una terapia cellulare per la Sma, malattia genetica in cui si assiste alla progressiva degenerazione dei motoneuroni, le cellule nervose deputate a impartire ai muscoli il comando di movimento.

Stefania Corti

«Recentemente abbiamo applicato la tecnica di Yamanaka a cellule di pazienti affetti da Sma – spiega Stefania Corti –. Dopo aver riprogrammato allo stadio staminale delle cellule prelevate dalla loro pelle, le abbiamo corrette con una terapia molecolare in grado di mascherare il difetto genetico che provoca la malattia. Successivamente le abbiamo “istruite” a diventare motoneuroni e abbiamo visto che queste cellule erano in grado di migliorare i sintomi nel modello animale di Sma. La potenzialità di questa tecnica sta nel fatto che si tratta delle cellule dei pazienti stessi, il che permetterebbe di evitare il rigetto da parte del sistema immunitario».

Certo è ancora presto per parlare di sperimentazione sull’uomo: per avere il via libera da parte delle autorità regolatorie occorre infatti che l’approccio terapeutico sia non solo efficace nell’alleviare i sintomi, ma anche sicuro, assolutamente riproducibile e ben conosciuto in ogni sua variabile.

«Attualmente siamo concentrati nel caratterizzare al meglio le cellule iPS ottenute dai pazienti, per conoscerne la capacità rigenerativa e tutte le caratteristiche funzionali – spiegano i ricercatori Telethon –. Più riusciamo a sapere di queste cellule, più saremo in grado di standardizzare la procedura e di prevederne il comportamento, accelerando così l’applicazione nell’uomo. Aver dimostrato la fattibilità di generare cellule staminali paziente-specifiche e, successivamente, farle differenziare in cellule così complesse e specializzate come i motoneuroni ci fa ben sperare non solo per la Sma, ma anche per altre malattie neurodegenerative simili come la sclerosi laterale amiotrofica».

Articolo di Anna Maria Zaccheddu pubblicato sul N.1 del Telethon Notizie 2013. Per sfogliare online l’interno numero clicca qui.