Scrive per noi Marco Rasconi, Presidente Nazionale dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (Uildm).

Francesca Pasinelli, Direttore Generale Telethon e Marco Rasconi, Presidente Nazionale UILDM

La prima volta che sentii parlare di Telethon avevo 11 anni: sapevo di essere affetto da Sma 2 ma non avevo idea di chi fossero e cosa facessero quelle persone in tv. Era la prima maratona e la storia della ricerca sulle malattie genetiche in Italia era tutta da scrivere. Oggi ho 40 anni, ho visto tutte le maratone Telethon e ho contribuito attivamente a raccogliere fondi per la ricerca, prima da volontario e ora da presidente nazionale di Uildm.

A 15 anni iniziai a essere presente nei banchetti in piazza, per parlare con le persone e convincerle che le loro donazioni rappresentavano una speranza per me e per tutti i malati rari. La gente non ci credeva, era diffidente, e così il compito del volontario Telethon era rassicurare, spiegare che i soldi andavano davvero a finanziare la ricerca, la migliore ricerca esistente.

Con il passare degli anni non è stato più necessario spiegare cosa fosse Telethon, perché maratona dopo maratona era entrata a far parte del cuore degli italiani. Tutti noi di Uildm abbiamo cercato di far capire come funziona la ricerca sulle malattie genetiche, parlando delle difficoltà di garantire un sostegno costante, dei tempi lunghi di cui ha bisogno per raggiungere un risultato concreto, tangibile, come può essere il volto di un bambino curato dalla distrofia muscolare.

Ogni donazione in più poteva essere quella decisiva per finanziare un nuovo progetto su una malattia genetica, che a sua volta poteva servire da apripista per altri dieci, cento nuovi progetti in futuro, aumentando le possibilità di arrivare a una cura.

I tempi sono molto cambiati dalla prima maratona: a molti poteva sembrare una battaglia persa, ora invece la stiamo vincendo. Lo vedo negli occhi dei giovani, che sono pronti ad ascoltare le storie di chi è diverso da loro senza pietà, ma con la voglia di includerlo. Penso che tutto il lavoro fatto dai volontari e da Telethon abbia contribuito a far cambiare il punto di vista sui disabili e sulla ricerca.

Oggi sappiamo che la ricerca non è solo trovare una cura ma prendersi cura, a 360 gradi, delle persone affette da malattie genetiche, investendo per migliorare la qualità della loro vita attraverso macchinari e tecnologie che consentono di respirare, muoversi, scrivere con maggiore autonomia.

La mia storia di impegno al fianco della ricerca Telethon non è ancora finita. Forse smetterò il giorno in cui farò fatica a cercare la maratona tra i canali televisivi, perché non ci sarà più bisogno di raccogliere fondi per Telethon: significherebbe che tutte le malattie genetiche sono state sconfitte. Nel frattempo, continuo a vivere ogni giorno come fosse un regalo ricevuto da milioni di donatori, cercando di metterlo a disposizione di altri.

Se potessi, tornerei indietro al 1990 per dire a me stesso ragazzino: sarà molto faticoso fare tutto ciò che farai, ma sarebbe ancora più faticoso se non ci fosse nessuno a investire nella ricerca sulle malattie genetiche.