Scrive per noi Nicoletta, mamma del piccolo Vittorio nato con una rarissima patologia genetica, la sindrome di Kleefstra.

Io credo nella ricerca, sono una sociologa. La ricerca è ciò che amo, è quello che so fare. Vorrei scrivere un progetto di ricerca, un giorno, sulle famiglie con bambini disabili, per capire come affrontano la vita tutti i giorni, come progettano il futuro e come trovano la forza per stare ancora uniti. Ma la verità è che vorrei farlo per poter restituire un po’ di quello che ho ricevuto, per dare una mano alle persone ed alle famiglie che affrontano una malattia rara come quella di mio figlio Vittorio.

Oggi lui ha 6 anni compiuti e sta bene rispetto al suo primo anno di vita. Appena nato è stato portato in terapia intensiva, e quella è stata la nostra casa per un mese. Lo osservavo tutti i giorni, mentre aveva difficoltà a nutrirsi e a respirare. Poi a 4 settimane dalla nascita è arrivato il primo colpo: una risonanza magnetica all’encefalo aveva evidenziato problemi alla materia bianca del cervello, ma i medici non sapevano valutarne le conseguenze. È stato il giorno più brutto della mia vita, in assoluto.

Ma dovevamo capire cosa c’era. E così siamo entrati in un mondo che non conoscevamo: accertamenti, medici, parole al limite della nostra capacità di comprensione.

«Non sapevamo nemmeno che tipo di risposte stavamo cercando, e la cosa peggiore era che non lo sapevano neanche i medici » .

Era come se vivessimo con una minaccia sempre all’orizzonte: guardavo Vittorio e pensavo che stesse migliorando, ma non potevo mai lasciarmi convincere completamente.

Dopo qualche mese abbiamo fatto un esame genetico e l’esito era che, semplicemente, non c’era niente. Non che non ci fosse niente per davvero, ma che non c’erano gli strumenti e le conoscenze per sapere dove guardare, per capire quale parte del DNA fosse coinvolta nella patologia di Vittorio. Nell’incertezza di questa situazione, abbiamo continuato a vivere la nostra vita familiare: io, mio marito, Vittorio e suo fratello Enrico, più grande di due anni, supportati da quattro splendidi nonni. Vittorio ha imparato a camminare e a correre, sotto la guida attenta di Enrico, e riesce a comunicare con noi con qualche parola. I suoi continui progressi sono anche il frutto di un prezioso lavoro riabilitativo svolto, fin dai primi mesi di vita Vittorio, dalla Fondazione Together to Go (TOG). Inoltre, lui ha la grande fortuna di avere una maestra bravissima, Adele, che sta sempre al suo fianco e ha costruito intorno a lui un mondo che non lo fa mai sentire escluso.

Poi arriva il giorno in cui il dottor Angelo Selicorni, il genetista che fin da subito ci ha accompagnato in questo difficile cammino, ci suggerisce di provare ad entrare nel programma “malattie senza diagnosi” del Tigem, l’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, Napoli. A febbraio 2019 arriva, finalmente, la diagnosi: sindrome di Kleefstra. Una condanna, ma anche una via di uscita.

Da una parte, ho messo un punto all’incertezza, ho capito cosa mi potessi aspettare e cosa, invece, non sarebbe mai successo. Dall’altra, ho cominciato a leggere di tutto, per saperne di più. Ho scoperto che chi è affetto da questa sindrome ha una regressione delle capacità cognitive (e in alcuni casi anche motorie) durante la pubertà. L’aspetto più brutto dell’avere certezze è stato dover mandare giù questo boccone amaro sul futuro di Vittorio.

Con il passare dei mesi ho imparato a sopportare la fatica di proiettarsi nel domani. È la fatica di tutti i genitori che hanno figli disabili:

«Pensi al futuro dei tuoi figli perché li vedi crescere sotto ai tuoi occhi, ma devi concentrarti per non pensarli e pensarti troppo in là nel tempo, devi abituare lo sguardo alla vita di tutti i giorni ».

E allora mi concentro sul fatto che stiamo bene, abbiamo una bella famiglia, due lavori che amiamo, quattro nonni che ci aiutano in tutto, due meravigliosi figli che ci regalano amore e impagabili sorrisi.  

Eppure ancora oggi penso che darei qualsiasi cosa per tornare indietro e scoprire prima la diagnosi. Grazie a Telethon ho dato un nome e un senso a quello che la mia famiglia stava vivendo. Ho cercato su Internet e ho rintracciato altre famiglie che erano state colpite da questa malattia rara. Sono entrata in questa piccola comunità di mamme dove ci si supporta a vicenda, ci si dà consigli, si forniscono indicazioni sui medici che possono essere d’aiuto. E tutte insieme abbiamo dato vita ad un grande progetto di speranze e aiuto: abbiamo fondato l’Associazione della Sindrome di Kleefstra – Italia, ancora una volta con l’aiuto e sotto la guida di Telethon.

In tutte le difficoltà quotidiane, ho scoperto un mondo di persone generose, che non si limitano a fare il loro compito ma riescono a mettere il cuore in ogni piccolo gesto. Questo è un grande dono che mi ha fatto Vittorio.

Io lo so che arriverà il momento in cui qualcuno, un ricercatore come me, riuscirà a capire di più sulla sindrome di Kleefstra. E magari riuscirà anche a trovare una terapia. Quando ci penso sorrido, anche se so che probabilmente non succederà a noi. Ma un bambino come Vittorio, da qualche parte nel futuro, potrà finalmente correre libero e andare lontano, grazie alla ricerca.